giovedì 13 dicembre 2018

SPORT E DISABILITA’: DAR VALORE ALLA PROPRIA PERSONA

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Lo sport è un potente strumento educativo e di crescita personale. Permette di lavorare su tutte le abilità: dalle funzioni cognitive a quelle emotive-affettive, corporee, organiche, sociali.
Permette di sviluppare quelle che sono definite life skills come: porsi degli obiettivi, assumersi la responsabilità delle proprie azioni, saper comunicare, controllare le emozioni gestendo lo stress, prendere decisioni, saper organizzare il proprio tempo, imparare a rispettare le regole.
Lo sport ha il vantaggio di essere divertente, di far sperimentare a chi lo pratica aspetti ludici e offre la possibilità di crescita in un contesto protetto, lavorando sul senso di autoefficacia.
L’autoefficacia è quella convinzione dell’individuo di possedere le capacità di eseguire un certo comportamento finalizzato a produrre un dato esito, obiettivo.
Insito in ogni uomo c’è la spinta innata alla soddisfazione dei propri bisogni, partendo da quelli fisiologici, per arrivare a quelli di sicurezza, di appartenenza, di stima, fino a raggiungere quelli di auto-realizzazione. Per sentirsi realizzati si ha il bisogno di sentirsi efficaci, che non significa vincere sempre in ogni attività che si fa, ma significa credere in sé e in quello che si fa.
Tutto questo detto fino ad ora ha valore per qualsiasi persona, assume una connotazione ancora più forte se si parla di persone con disabilità.  Il Comitato Paralimpico Internazionale dello Sport, ha definito l’empowerment come un tema di ricerca prioritario all’interno del settore della disabilità sportiva. Esso fa riferimento al “processo attraverso il quale gli individui sviluppano le competenze e le capacità di ottenere il controllo sulla propria vita e di intervenire per migliorare la loro situazione di vita”.
Per chi ha una disabilità sono tanti gli aspetti che incidono sulla propria immagine di sé, sia corporea che emotiva. Anche vivere il contesto sociale non è sempre così scontato e facilmente raggiungibile; spesso c’è un’inibizione nel vivere un gruppo, un contesto sociale per paura di sentirsi o essere percepiti diversi.
L’attività sportiva può rappresentare un ponte rispetto al sentirsi adeguati ed efficaci, può permettere la conoscenza di sé, delle proprie abilità e capacità espressive. Aiuta a sviluppare le proprie potenzialità, partendo da ciò che ogni persona già sa fare, per far venire fuori le risorse che ognuno ha dentro di sé e di cui a volte, fino a quando non si fa esperienza, non si ha neanche conoscenza.
In un’ottica di empowerment, dunque, lo sport permette di ampliare il proprio potere personale che consente di uscire da una situazione di difficoltà e dipendenza e di passare dalla logica del bisogno e della necessità a quella della vita come possibilità.


«Se è vero che l’essere umano vive immerso in un sistema di reti sociali, allora si può sostenere che il lavoro di squadra è l’essenza della vita. Infatti ogni persona si sviluppa e si autorealizza solo se impara, in accordo con i tempi, individualità, a essere parte attiva di questo corpo sociale, costituito dall’ambiente in cui vive.»
Alberto Cei


Dott.ssa Laura Camastra

sabato 8 dicembre 2018

Progetto "Diver-giocando"...Giocare con il proprio corpo per una maggiore consapevolezza di sé.


Il corpo e la mente non sono facilmente separabili, eppure a volte ce ne dimentichiamo. Il sé corporeo è un concetto che riguarda la percezione che si ha del proprio corpo, la rappresentazione interna che ne deriva. In un'ottica di benessere psico-fisico e di crescita personale, è fondamentale sperimentarsi e conoscersi partendo proprio dal corpo.

Dott.ssa Laura Camastra e Dott.ssa Giovanna Busto

lunedì 22 ottobre 2018

«FIDARSI È BENE, NON FIDARSI È MEGLIO…» … MA È DAVVERO COSI’?!




Cos’è la fiducia?
Fidùcia dal lat. fiducia, der. di fidĕre «fidare, confidare». Nel dizionario viene descritta come un «atteggiamento, verso altri o verso sé stessi, che risulta da una valutazione positiva di fatti, circostanze, relazioni, per cui si confida nelle altrui o proprie possibilità, e che generalmente produce un sentimento di sicurezza e tranquillità».
Ma cosa significa nella vita quotidiana avere fiducia? È un concetto che rimanda al fidarsi di sé stessi, fidarsi di qualcuno, a volte va anche ricollegato al concetto di speranza, intesa come sentire che una situazione possa andar bene, aver fiducia nel futuro.
Se ci soffermiamo sulla nostra vita, alla base di ogni cosa c’è proprio la fiducia, potremmo dire che la nostra vita essendo fatta di relazioni si fonda sulla nostra capacità di provare questo sentimento.
In una società che vive sempre più nell’incertezza, nell’instabilità, si vive molto più spesso nella paura che dietro un semplice sguardo, dietro ogni parola o comportamento sincero possa esserci altro e questo porta ad avere meno fiducia negli altri.
Ma riuscire a dare fiducia all’altro è collegato alla fiducia verso sé stessi? Come si fa a fidarsi degli altri se non ci si fida del proprio sentire?
Scegliere di dare fiducia significa innanzitutto essere consapevoli di sé stessi, dei propri desideri, di cosa sia meglio per noi, essere in contatto col proprio sentire nel proprio corpo.
Spesso ci si difende non fidandosi troppo dell’altro, per paura di sentirsi traditi. Ma in questo caso ci si protegge davvero dal dolore per essere più felici? O dall’altro lato ci impedisce di vivere realmente? E come si fa a capire se si può avere davvero fiducia?
Spesso, al contrario, queste paure ci frenano anche nel provare a realizzare un desiderio…
e allora forse bisognerebbe riflettere su cosa significa questo per ognuno di noi.
La fiducia è un sentimento molto forte da provare, a volte scontato, forse soprattutto verso sé stessi, e capita di affidarsi invece a chi sembra possa renderci felici.
Imparare ad avere fiducia profonda verso sé stessi, permette invece di vivere con maggiore serenità le scelte che si fanno. Non esiste a priori una cosa giusta da fare, né si può avere la certezza a priori di cosa accadrà se… è importante invece soffermarsi e conoscere il proprio sentire nel qui ed ora, per imparare a fidarsi di esso. Prendersi del tempo, dei momenti per avvicinarsi a ciò che rimanda il corpo, alle sensazioni che rimanda quando si è ad esempio con una persona, quando si sta vivendo una determinata situazione, permette di avere una maggiore consapevolezza. Spesso questi segnali passano in secondo piano, bisognerebbe invece imparare ad ascoltarli per affidarsi ad essi…al proprio sentire.


Mi ha scosso, non che tu mi abbia mentito, ma che io non ti creda più.
Friedrich Nietzsche



Dott.ssa Laura Camastra

lunedì 17 settembre 2018

VUOTO E PIENO…LIBERTA’ O OPPRESSIONE?




Questa è un'epoca in cui tutto viene messo in vista sulla finestra per occultare il vuoto della stanza.
Tenzin Gyatso

Immaginiamo di avere un luogo interiore, un posto sicuro in cui custodiamo i nostri desideri, i nostri sogni, un luogo che pian piano arricchiamo con la nostra storia, con le nostre emozioni, con le nostre sensazioni. Immaginiamo poi di arrivare in un momento in cui non sentiamo nulla, questo luogo è completamente vuoto…come ci sentiremmo? E se al contrario lo riempissimo di cose, di pensieri, di preoccupazioni tanto da togliere spazio vitale?
Il vuoto in campo psicologico e nella vita quotidiana, ha spesso connotazioni negative (Fogarty, 1973).
“Sentirsi vuoti” spesso spaventa perché è come sentirsi senza emozioni, svuotati dall’energia vitale che ci permette di provare sentimenti, emozioni, di essere in contatto con noi stessi.
La sensazione di vuoto ha, infatti, diverse sfaccettature che vanno dalla semplice noia, rispetto al non avere stimoli, alle sensazioni di vuoto più profonde, quelle che vengono dalla pancia.
Mi sento vuoto se sono solo, anzi se mi sento solo, se quindi il senso di solitudine è vissuto come isolamento. “Non sento niente, non sono niente” se un senso di inadeguatezza prende il sopravvento, se sento di non fare abbastanza nella mia vita da sentirmi soddisfatto, se la tristezza è così forte da non avere un motivo per andare avanti, se in un momento della mia vita non ho più contatto con la mia parte emotiva.
E cosa significherebbe sentirsi “pieni”?  Spesso la pienezza, al contrario, rimanda ad una connotazione positiva, essere pieni di vita sicuramente; ma se essere pieni di cose da fare e di emozioni diventasse invece un blocco? Quale sarebbe il confine tra pieno e vuoto?
A volte ci riempiamo di cose da fare per non sentire, per non fermarci, per non soffermarci su quello che succede, su quello che viviamo e che sentiamo, può essere considerato una sorta di meccanismo di difesa.
 In ognuno di noi sta il proprio sentirsi “vuoto” o pieno”. Spesso è proprio quando ci si sente vuoti che si scoprono nuovi aspetti di sé fino a quel momento sconosciuti, in cui si entra davvero in contatto con sé stessi…. del resto la parola vuoto deriva dal latino volgare *vo(c)ĭtus, p. pass. di *vocēre, variante di *vacēre, class. vacare ‘esser libero'…

 Dott.ssa Laura Camastra



RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Epstein, M. (1989). Forms of emptiness: psychodynamic, meditative and clinical perspective. New York.

Fogarty Thomas F., M.D. (1973). On emptiness and closeness. Center for Family Learning, Compendium I. The best of the family.


mercoledì 12 settembre 2018

Prendersi cura del corpo e della mente:il ruolo dello psicologo


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Ci sono alcune situazioni della vita che mettono a dura prova il nostro equilibrio e la nostra serenità.
Si può trattare di problemi a lavoro, a scuola, nel rapporto con i figli, con il partner, oppure a disagi più strettamente legati all’umore, all’ansia, alla difficoltà di dormire o mangiare, al rapporto con il proprio corpo o la propria sessualità.
Cosa può fare lo PSICOLOGO?
Il fine della consulenza psicologica è di orientare la persona, fare ordine, riconoscere e definire la natura dei problemi, dei fattori in gioco.
Lo psicologo accoglie la persona in un contesto non giudicante, la aiuta a capire cosa sta succedendo, la affianca nell’attivare tutte le risorse personali necessarie per affrontare le situazioni, per modificarle.
La professione di psicologo comprende anche l'uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, per le attività di sostegno psicologico. Quest’ultimo ha la funzione di supportare il mantenimento di una condizione di benessere della persona.
Rispetto, invece, alle valutazioni psicodiagnostiche, esse possono riguardare l’ambito infantile (rispetto ad esempio ai Disturbi Specifici dell’Apprendimento, Disturbi del Linguaggio, ecc.). Possono essere richieste anche valutazioni psicologiche ai fini di una relazione psicodiagnostica (per perizie, per affrontare interventi di chirurgia bariatrica, ecc.).
In generale prendersi cura della propria salute psicologica significa decidere di ascoltare un disagio, ascoltare sé stessi e il proprio corpo concedendosi uno spazio per sé. Ma significa anche ascoltarsi per prevenire disturbi, per migliorare la propria salute psicofisica. In questo senso assumono sempre più importanza approcci psicologici che pongono attenzione alle emozioni e al corpo. Attraverso tecniche di rilassamento, di mindfulness e di bioenergetica, si va a lavorare sulla respirazione, su eventuali tensioni muscolari che spesso sottendono “blocchi emotivi”, che una volta sciolti, ci permetterebbero di vivere con più energia e consapevolezza.


“Si può paragonare la vita a un tessuto ricamato, di cui ognuno può vedere il lato esterno nella prima metà della sua esistenza, e il rovescio nella seconda: quest’ultimo non è così bello, ma più istruttivo, poiché lascia riconoscere la connessione dei fili.”
IRVIN D. YALOM


Dott.ssa Laura Camastra


mercoledì 5 settembre 2018

ALLENARSI A RESPIRARE

Allenarsi a respirare


Risultati immagini per allenarsi a respirare


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Essere pieni di vita significa respirare profondamente, muoversi liberamente e sentire con intensità.” A. Lowen

Spesso si dà anche per scontato il proprio respiro, oltre al fatto che la respirazione sia naturale farla “bene”, in realtà non è così.
Il modo in cui respiriamo è influenzato anche dallo stato d’animo che viviamo, dal vissuto emotivo. In Bioenergetica si parla di “corazze” muscolari e caratteriali, riferendosi alle emozioni che nel tempo si bloccano nel corpo, creando delle tensioni muscolari.
La bioenergetica, infatti, si basa sulla stretta relazione tra emozioni e corpo; da un punto di vista energetico tutto il corpo può essere inteso come un’unica cellula. I processi energetici, cioè la produzione di energia attraverso la respirazione e il metabolismo e la scarica di energia del movimento, sono le funzioni basilari della vita.
In ambito sportivo, dove alla base dell’attività c’è il movimento, il gesto atletico, risulta, dunque, fondamentale la respirazione. Per un atleta imparare a gestire la respirazione durante la vita di tutti i giorni, negli allenamenti, significa incrementare la qualità di vita e la performance nello sport.
È importante allenarsi a respirare per poterlo fare profondamente, ma fondamentale innanzitutto è partire dalla consapevolezza del proprio corpo, del proprio respiro per poi imparare a gestirlo in base anche alle richieste della situazione sportiva.


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Alexander Lowen, (1975), Bioenergetics, Coward, McCann & Geoghegan, New York. Traduzione in italiano di Lucia Cornalba e supervisione di Luigi De Marchi Feltrinelli, Milano 1983-2004.

Lowen, A., (2003). Il linguaggio del corpo. Feltrinelli editore. Milano. 

D. Viola, (2014). Piedi come radici, mente come cielo. Manuale moderno di analisi bioenergetica.

martedì 14 agosto 2018

lunedì 6 agosto 2018

Continuare a Fiorire.."Diver-Giocando"..


Dott.ssa Laura Camastra in collaborazione con la Dott.ssa Giovanna Busto

Progetto "Diver-Giocando"


“Se potessimo vedere chiaramente il miracolo di un singolo fiore, l’intera nostra vita cambierebbe.”
(Gautama Buddha)





 PROGETTO “DIVER-GIOCANDO”
Una nuova opportunità per bambini dai 5 ai 10 anni.

L’educazione e la sensibilità dei bambini verso la “diversità” è condizionata dal modo in cui gli adulti, i genitori, vivono questa realtà.
Questo progetto rivolto ai bambini e ai loro genitori, si propone di riflettere sul concetto di diversità, di riconoscere le proprie emozioni rispetto ad esso e di investire in questo valore aggiunto attraverso attività ludiche volte all’inclusione.
Il progetto è patrocinato dall’associazione Continuare a Fiorire e si svolgerà nei mesi estivi.
I bambini di età compresa tra i 5 e i 10 anni, sperimenteranno attività ludiche ricreative atte a favorire l’apprendimento, a “giocare” sul concetto di disabilità, facendo emergere le loro potenzialità e la consapevolezza di questo valore aggiunto.
Le attività saranno svolte dalle Dott.sse Laura Camastra (Psicologa, Psicoterapeuta in formazione) e Giovanna Busto (Pedagogista e Mediatrice Familiare).

Dott.ssa Laura Camastra

sabato 16 giugno 2018

LO SPORT: UNA QUESTIONE DI IDENTITA’






Nel momento in cui gli individui fanno parte di un determinato gruppo sociale, diventa fondamentale un particolare tipo di identità: l’identità sociale.
Per Identità Sociale si intende “quella parte dell’immagine che una persona ha di sé derivante dalla consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale, unita alle emozioni associate a tale appartenenza e alla valutazione data al gruppo stesso” (Tajfel,1978).
Un individuo che sente di appartenere ad un determinato gruppo sociale, s’identifica in esso e la valutazione di sé stesso è influenzata da come reputa l’intero gruppo. Questa valutazione è fatta in base ad un confronto sociale, cioè dal paragone tra le caratteristiche del proprio gruppo con quelle degli altri presenti nell’ambiente; quanto più il gruppo di appartenenza è giudicato positivamente, tanto più lo è il sé. Quindi indentificarsi con un gruppo, come succede anche nello sport, appartenere ad una determinata società o squadra, porta a valutazioni più positive verso quest’ultimo, rispetto alle valutazioni di altri gruppi che risulteranno più negative.
Ma qual è il legame tra l’appartenenza ad un gruppo con l’autostima?
Si è ipotizzato in un primo momento che, visto che l’immagine positiva del gruppo di appartenenza si trasferisce al singolo membro, questo aumenti l’autostima. Quindi, le persone tenderebbero a scegliere gruppi giudicati positivamente. Sarebbe come dire che si sceglie di giocare in una squadra perché vince o perché ha i giocatori migliori. Risulta riduttivo pensare che le uniche motivazioni siano queste, ossia per migliorare la propria condizione. Le motivazioni alla base della scelta sono diverse e molteplici e variano anche in base a fattori soggettivi. Si può affermare, invece, che una situazione di incertezza e insicurezza soggettiva, può spingere una persona ad appartenere ad un determinato gruppo.
È importante, quindi, soffermarsi su come questo bisogno di appartenere ad un gruppo sia innato e sia così forte da influenzare la propria autostima.

Dott.ssa Laura Camastra

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICIAronson (2006), Psicologia sociale, Il Mulino.Castellini, Monzani e Greco, (2008).Le dinamiche di gruppo e le convinzioni di efficacia in due differenti discipline sportive. Giornale Italiano di Psicologia dello Sport.
Voci, Laterza (2003). Processi psicosociali nei gruppi.


lunedì 11 giugno 2018

Percorso di Alfabetizzazione Emotiva

Termina il percorso di Alfabetizzazione Emotiva per bambini dai 3 ai 5 anni e dai 6 ai 9.



In questo ultimo incontro i bambini hanno creato un cartellone per focalizzare e racchiudere tutte le principali emozioni conosciute, sperimentate durante il percorso.

Attraverso giochi di movimento, di bioenergetica, di rilassamento nella scoperta di sé stessi, dell'altro e dei tempi di ognuno, interpretando le onde del mare nell'arrivo dell'estate...

Dott.ssa Laura Camastra
in collaborazione con la Dott.ssa Giovanna Busto


lunedì 28 maggio 2018

ESSERE "ONLINE"...CON SE' STESSI: il punto di esplosione

Percorso per ragazzi dai 10 ai 13 anni





La rabbia è un'emozione spesso preponderante in questa fase di crescita dei ragazzi, quando c'è poi il passaggio all'adolescenza.
In generale è un'emozione "particolare"... c'è chi se ne discosta, chi dice di non sentirla mai, chi inconsapevolmente la nasconde dietro un velo di tristezza ad esempio, chi invece, al contrario, la sente troppo forte tanto da spaventarsi.
E' questo il motivo che ci ha spinto ad approfondire questo tema in questo percorso, dando la possibilità ad i ragazzi di verbalizzare e confrontarsi sui pensieri, sulle situazioni e sul loro sentire questa rabbia, con le loro modalità e i loro tempi.
Il tutto incorniciato da esercizi di bioenergetica, di movimento e di rilassamento.

Dott.ssa Laura Camastra



giovedì 24 maggio 2018

Percorso di Alfabetizzazione Emotiva



Percorso di Alfabetizzazione Emotiva per bambini


IL TERMOMETRO DELLE EMOZIONI




"Cosa fa il termometro?" "Misura la temperatura"...

Il termometro delle emozioni serve a far comprendere ai bambini come la stessa emozione possa avere un'intensità diversa, una "temperatura" diversa.
Imparare a riconoscere le sfaccettature delle emozioni fin da piccoli, serve nel percorso di alfabetizzazione emotiva, a crescere in modo più consapevole.

Dott.ssa Laura Camastra 
in collaborazione con la Dott.ssa Giovanna Busto


mercoledì 16 maggio 2018

I GENITORI E LO SPORT: OSTACOLO O RISORSA FONDAMENTALE?



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Il ruolo dei genitori nella crescita sportiva tende a modificarsi nel tempo, da gestione totale nei primi anni di attività sportiva (nella fascia infantile), passa ad essere maggiormente correlato al sostegno emotivo (andando nella fase adolescenziale).
In realtà oggi si assiste ad una nuova tendenza, l’attuale generazione sembra essere fortemente coinvolta nell’attività dei propri figli tanto che alcuni autori (Bounous, Prunelli e Rossi, 2011), affermano: «questa è la prima generazione di genitori che si occupa attivamente dello sport dei figli: si tratta, quindi, di un fenomeno nuovo, sia per i genitori che per le Società sportive».
In uno studio sul calcio giovanile si è indagato chi risultata essere la figura più influente nell’attività sportiva ed è venuto fuori che l’80% dei calciatori di alto livello considerava i propri genitori come le persone più influenti, per il 40 % nei calciatori di minor livello, percentuale comunque alta. (Wards, Hodges, Starkes, Williams, 2007).
Questo deve far riflettere su quanto sia importante per i figli essere sostenuti e supportati dai propri genitori, tanto da essere un fattore che può influenzare la motivazione a continuare un determinato sport.
Emerge da alcuni studi (Coté e all. 1999), infatti, che il sostegno dei genitori sia correlato al divertimento e all’entusiasmo dei figli, oltre che alla loro percezione di competenza. Possiamo quindi dire che il ruolo del genitore è fondamentale anche nello sport, per poter far sperimentare ai figli il senso di autoefficacia. L’“autoefficacia” è quella convinzione dell’individuo di possedere le capacità di eseguire un certo comportamento finalizzato a produrre un dato esito, obiettivo, concetto strettamente correlato al sentirsi adeguati, capaci di essere efficaci, quindi all’autostima.
Anche l’atteggiamento del genitore rispetto alle vittorie o alle sconfitte, trasmette messaggi forti legati oltre che all’esperienza sportiva, al figlio stesso come persona.
Allora i genitori possono essere considerati un ostacolo o una risorsa fondamentale?
I genitori sono potenzialmente una risorsa, ma per evitare che diventino un ostacolo, devono essere consapevoli essi stessi dei propri comportamenti e dell’influenza che hanno sui propri figli.
Un genitore consapevole è presente, anche nella vita sportiva del proprio figlio, cercando di trovare una giusta misura e distanza. Dà supporto ed è comprensivo nei momenti di difficoltà, dando aiuto dopo che il proprio figlio ci ha provato da solo, lo ascolta e cerca di capire i suoi reali bisogni e desideri, senza sostituirsi a lui. Va incontro alle aspettative del figlio, loda i suoi miglioramenti, il suo impegno, mettendo enfasi su questo e non sulla vittoria o necessariamente sul risultato. Trasmette attraverso l’esempio, l’ascolto, che bisogna competere ma anche in base alle proprie capacità, senza dover essere un campione a tutti i costi. In questo senso trasmette quella sicurezza che permette al bambino, al ragazzo, di sentirsi apprezzato e sostenuto per ciò che è. La consapevolezza è un aspetto che sembra scontato e facile, ma in realtà non è sempre così semplice fermarsi e mettersi in gioco, eppure è fondamentale per una sana crescita psicofisica dei figli.


 Dott.ssa Laura Camastra


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
Bortoli L., Bertollo M., e Robazza C., (2005). Sostenere la motivazione nello sport giovanile: Il modello TARGET. Giornale Italiano di Psicologia dello Sport, 3, 69-72.

M. Fulcheri, (2005). Le attuali frontiere della psicologia clinica. Torino: Centro Scientifico Editore.
Claudio Mantovani (a cura di). Insegnare per allenare. Metodologia dell'insegnamento, (2017). Edizioni Scuola dello Sport.


martedì 1 maggio 2018

PREVENIRE LO STRESS DELL’ATLETA: IL RUOLO DELL’ALLENATORE



Lo stress è una risposta del corpo ad ogni richiesta dell’ambiente (Selye, 1956).
Si parla di stress negativo se la sollecitazione dell’ambiente supera la capacità di risposta o risulta troppo povera. Il burn-out è l’esito patologico di un processo stressogeno. Nello sport i sintomi sono: esaurimento emotivo e fisico dell’atleta, sensazione di isolamento, scarsa fiducia, difficoltà di concentrazione durante la prestazione, percezione di mancanza di miglioramento nella propria carriera, sensazione riguardante la svalutazione del proprio contributo nella squadra da parte dell’allenatore, giocatori e società.
Inevitabilmente il vissuto dell’atleta è correlato alla sua motivazione, al senso di efficacia e alla percezione che ha di sé stesso. In questo risulta importante la figura dell’allenatore che influenza l’atleta rispetto al suo vissuto. Ma cosa dovrebbe fare in concreto l'allenatore per permettere al suo atleta di esprimersi al meglio? Dovrebbe individuare quali sono le motivazioni individuali di ciascun atleta, tenere conto dei suoi bisogni e cercare di costruire la prestazione atletica in base alle caratteristiche di chi si trova di fronte. Il cosiddetto «clima motivazionale percepito» dall’atleta si riferisce alla percezione che il soggetto ha di un certo ambiente prestativo e riguarda l’orientamento motivazionale dell’allenatore. Se è orientato sul compito, l’attenzione è sullo sviluppo delle competenze, sul valore di ciascun atleta, sottolineando i suoi progressi, enfatizzando la collaborazione con gli altri. L’orientamento sull’io pone l’attenzione sulla competizione, quindi l’allenatore rimprovera per gli errori, per una prestazione scadente. In quest’ultimo caso l’atleta potrà vivere con maggiore stress l’attività sportiva, poiché orientata solo al successo, al risultato. Soprattutto nei bambini il clima creato dagli adulti significativi è l’aspetto che più influenza la motivazione e l’orientamento personale.
Come dovrebbe essere un buon allenatore? Da uno studio di Gould e colleghi (1996) condotto su giovani tennisti sono stati tirati fuori dei consigli che gli atleti stessi hanno scritto per gli allenatori. E’ venuto fuori che l’allenatore dovrebbe coltivare il coinvolgimento personale col giocatore, avere una comunicazione a due con l’atleta, utilizzare gli input del giocatore, comprendere le sensazioni dell’atleta. Questo sottolinea come l’atleta ha bisogno e desidera un coach al quale affidarsi e sentirsi sostenuto e riconosciuto, aspetti fondamentali per cercare di prevenire lo stress che può derivare dal praticare un’attività sportiva.

 Dott.ssa Laura Camastra


RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI:
Bellani, M.L & Orrù, W. (2002). La sindrome del burnout. In: Bellani, M.L, Morasso.
M. Fulcheri, A. Lo Iacono, F. Novara, (2008).  Benessere psicologico e mondo del lavoro. Torino: Centro Scientifico Editore.
M. Fulcheri, (2005). Le attuali frontiere della psicologia clinica. Torino: Centro Scientifico Editore.
Claudio Mantovani (a cura di). Insegnare per allenare. Metodologia dell'insegnamento, (2017). Edizioni Scuola dello Sport.







giovedì 12 aprile 2018

2° INCONTRO DEL PERCORSO DI ALFABETIZZAZIONE EMOTIVA 

(3-5 anni, 6-9 anni)



Un mix tra giochi di rilassamento (e immaginazione), e attività sulle emozioni.


Dare uno spazio ai bambini dove poter riflettere insieme sulle emozioni scatenate da un determinato comportamento, sulla soggettività delle emozioni, è importante per la loro crescita.

E' fondamentale però, che possano sperimentare la loro fantasia e immaginazione nel gioco, muovendosi, sentendo le proprie sensazione, il proprio corpo e imparando anche a fermarsi e respirare.

Dott.ssa Laura Camastra

in collaborazione con la Dott.ssa Giovanna Busto









lunedì 2 aprile 2018

Essere online con sé stessi...

LE EMOZIONI MASCHERATE




E' importante concedere uno spazio protetto in cui i ragazzi possono rilassarsi, sperimentarsi e aprirsi.

Nella nostra società, nella nostra cultura, nella famiglia, tra amici, si ha spesso il "preconcetto" rispetto a delle emozioni considerate "negative", che non bisogna mostrare..in particolare la rabbia e la tristezza. 
Queste emozioni sono spesso mascherate dalla felicità, come se la rabbia sia necessariamente distruttiva, o se non ci siano delle risorse anche nella tristezza.

E' bello, invece, come i ragazzi imparano a condividere con gli altri i propri sentimenti quando non si sentono giudicati...

Dott.ssa Laura Camastra

domenica 11 marzo 2018

PERCORSO DI ALFABETIZZAZIONE EMOTIVA

Bambini dai 3 ai 5 anni.



Giocare allo "specchio" osservando l'altro, soffermarsi sul proprio pensiero dandogli voce,
esprimere il pensiero e l'emozione collegata ad esso attraverso il disegno. Il tutto in un contesto di gioco e rilassamento.




Bambini dai 6 ai 9 anni.




Qual è la differenza tra sensazione del corpo e sensazione del "cuore"?

Riflettere sulla differenza tra le sensazioni provate a livello fisico e quelle a livello emotivo è un primo approccio verso una maggiore consapevolezza di sé.
Far sperimentare ai bambini uno stato di rilassamento e riposo dopo aver compiuto dei movimenti energici e soffermarsi sul battito del cuore.
Soffermarsi sul pensiero del momento ed esprimerlo.


Dott.ssa Laura Camastra 
Dott.ssa Giovanna Busto



martedì 27 febbraio 2018

QUANDO LO SPORT DIVENTA STRESS: IL BURNOUT





Lo stress inteso in senso negativo o «distress» si verifica se in un soggetto la sollecitazione supera la capacità di risposta o risulta troppo povera provocando noia, monotonia. Tra i fattori stressanti che viviamo quotidianamente, l’ambito lavorativo riveste una particolare importanza poiché, spesso, rappresenta la maggior parte del tempo impiegato in una giornata.
La forma di risposta a condizioni stressanti è il burnout, una sindrome studiata soprattutto dagli anni Settanta in poi, riscontrata maggiormente tra gli operatori sanitari.
Il termine «burn-out» è stato utilizzato per la prima volta negli anni Trenta per indicare in gergo un atleta che dopo molto tempo in cui ha ottenuto successi, si «brucia» e si consuma, esaurendo le proprie risorse.
Questa sindrome è stata infatti riscontrata anche in ambito sportivo, negli atleti, soprattutto ad alti livelli agonistici.
Raedeke e colleghi (2002), hanno esaminato gli aspetti centrali nell’esperienza dell’atleta. L’esaurimento emotivo è associato all’intenso allenamento e alla competizione. L’esperienza di riduzione del senso di realizzazione è considerato per l’atleta in termini di abilità e talento nel momento in cui egli non riesce a raggiungere i propri obiettivi, non soddisfacendo le proprie aspettative.
La svalutazione sportiva associata a caratteristiche perdita di interesse, risentimento verso lo sport, la prestazione e atteggiamento “non curante” è un’altra dimensione presente.
E’ dunque chiaro come la risposta a fattori stressanti sia correlata alla motivazione percepita rispetto all’attività che si svolge, al carico fisico e psicologico che gli atleti si trovano a dover gestire, oltre ad aspetti di personalità dell’atleta.
Visto il sempre maggior numero di giovani coinvolti in attività sportive ad alti livelli, si riscontano sempre più situazioni in cui lo sport, da pratica salutare quale dovrebbe essere, influenza negativamente lo sviluppo del ragazzo, il quale si trova a dover affrontare un carico emotivo e fisico non adeguato alla sua età.
E’ importante, quindi, che le figure professionali coinvolte, abbiano una formazione adeguata oltre che un’attenzione a questi aspetti fondamentali, in un’ottica di prevenzione rispetto ai fattori stressanti che gli atleti potrebbero non saper gestire.


Dott.ssa Laura Camastra






RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Paul R. Appleton , Howard K. Hall , Andrew P. Hill, (2009). Relations between multidimensional perfectionism and burnout in junior-elite male athletes. Psychology of Sport and Exercise 10 457–465.

Bellani, M.L & Orrù, W. (2002). La sindrome del burnout. In: Bellani, M.L, Morasso.

S.L. Cresswell, R.C. Eklund, (2004). The athlete burnout syndrome: possible early signs. Journal of Science and Medicine in Sport;7:4:481-487.

Lo Iacono, (2008).  Benessere psicologico e mondo del lavoro. Torino: Centro Scientifico Editore.


Le emozioni per i bambini

Chiedere ai bambini cos'è l'emozione, quali sono le emozioni, verbalizzarle, rappresenta il primo passo rispetto al processo di riconoscimento e di conoscenza di sè.
E' importante fin da piccoli, dare questa possibilità e questo spazio ai bambini, per mettere le base di una crescita più consapevole...

Dott.ssa Laura Camastra


Essere "online" con sè stessi..


Il volto è come la nostra "carta d'identità", insieme al corpo e alla sue espressioni, rappresenta il modo in cui ci presentiamo agli altri, in cui ci esprimiamo.
Ma lo conosciamo davvero?
Siamo davvero così attenti ai nostri lineamenti, alle sue sfaccettature...




Dott.ssa Laura Camastra

sabato 27 gennaio 2018

Colorando le emozioni

                  Laboratorio per bambini dai 3 ai 5 anni....




Paura, gioia, rabbia, disgusto e tristezza: cosa sono?
Quando provo queste emozioni?

Sperimentarsi attraverso attività corporee, creative, e giochi di rilassamento. Dare un colore e una forma alla propria emozione esercitando il respiro.

Questo è il primo incontro per permettere ai bambini fin da piccoli di conoscere e verbalizzare le proprie emozioni, dando la possibilità di muoversi ma anche di imparare a fermarsi, rilassarsi e respirare.

Dott.ssa Laura Camastra





LA LEGGEREZZA NEL GIOCO: DAI SPAZIO ALLA TUA PARTE BAMBINA

  Dentro ogni persona c’è una parte bambina. Anche tu sei stato bambino e dentro di te questa parte esiste ancora. Penso alla parte “bam...