venerdì 28 aprile 2017

“ALLENARSI” AL RILASSAMENTO



Nella vita quotidiana si ha spesso la sensazione di non avere il tempo di fare tutto ciò che ci si era programmato. Suona strano sentire “concediti un po’ di tranquillità, senza far nulla”. Siamo sempre abituati a fare qualcosa.  
Ma è davvero così necessario correre?
La parola <<rilassare>> dal latino relaxare, significa allargare, allentare, lasciare, distendere, far diminuire la tensione fisica e psichica (rilasciare quando si riferisce alla tensione nervosa o muscolare).
Rilassarsi è fare qualcosa, significa riacquistare energia, concedersi del tempo e la possibilità di prevenire e/o risolvere problemi relativi tensioni muscolari, ansia, difficoltà del sonno o “semplicemente” pensare al proprio benessere.
Una tra le tecniche di rilassamento è il Training Autogeno, ideata dallo psichiatra J.H. Schultz.  Consiste in un allenamento (Training) che si genera autonomamente (Autogeno), un libero e naturale processo che non viene mai forzato, ma semplicemente assecondato e assistito.
Per beneficiare di uno stato di rilassamento abbiamo bisogno di allenare questa nostra abilità, che già fa parte delle capacità di ognuno di noi.
Questa tecnica si compone, infatti, di una serie di esercizi concatenati che verranno insegnati uno alla volta, con gradualità.
A cosa serve quindi?
  • Aiutare a vivere meglio lo stress della vita quotidiana e ad avere una visione più positiva dei problemi;
  • Prevenire la sintomatologia da stress (ansia, disturbi del sonno, ecc...)
  • Imparare ad essere più calmi e distesi e a scaricare meno le tensioni sui vari organi;
  • Migliorare la propria consapevolezza psico-corporea;
  • Rafforzare la sicurezza e fiducia in se stessi.


Come l’individuo che ha imparato a leggere sarà ormai “costretto” per tutta la vita a leggere ogni volta che vede dei caratteri scritti, allo stesso modo per chi pratica il training autogeno l’atteggiamento disteso e rilassato può diventare una seconda natura.

J.H. Schultz. 










RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Gisela Eberlein, (1987). Il libro del Training Autogeno. Feltrinelli Ed.
Luca Napoli, Beatrice Gori, (2012). Dare corpo all’anima. Un percorso di consapevolezza, benessere e crescita psico-corporea in Psicoterapia Umanistica e Bioenergetica. Dal Training Autogeno alle Fantasie Guidate.
L.Peresonn, (1980). “Psicoterapia Autogena”. Faenza Ed.


Schultz, (1968). Il training autogeno. Esercizi inferiori.

sabato 15 aprile 2017

LA SCONFITTA COME SPINTA A MIGLIORARSI



Nello sport un aspetto fondamentale è il conseguimento dell’obiettivo individuale e/o di squadra, il quale in genere coincide con la vittoria. In particolare, negli sport ad alto livello, l’allenatore e la società stabiliscono dei traguardi stagionali da raggiungere; quindi riuscire a far esprimere sempre al meglio l’atleta è per l’allenatore uno dei compiti primari.
In base a questi obiettivi prefissati o alle proprie caratteristiche personali, l’allenatore può favorire e accrescere nei propri atleti una motivazione sul compito piuttosto che sul risultato.
Ames (1992; Ames e Ames, 1981) parlava di “clima motivazionale percepito”, riferendosi alla percezione che il soggetto ha di un certo ambiente prestativo. Nell’ambiente sportivo l’orientamento assunto dall’allenatore (l’importanza che egli attribuisce alla competenza o alla prestazione), emerge già dal modo in cui organizza il lavoro, valuta la prestazione, attribuisce riconoscimenti influenzando, la percezione del clima motivazionale dell’atleta.
In un ambiente orientato sul compito l’attenzione è posta sullo sviluppo delle competenze, sul valore di ciascun atleta, sul suo impegno, sottolineando i suoi progressi. Al contrario, invece, in un ambiente orientato sull’io al centro dell’attenzione c’è la competizione, quindi l’allenatore rimprovera per gli errori, per una prestazione scadente, può capitare dia maggiori attenzioni agli atleti migliori, stimolando anche competizione nel gruppo.
Quest’ultimo clima può portare a vivere una sconfitta in modo più negativo di quanto sia.
Il fallimento è di per sé difficile da accettare e gestire, può essere demoralizzante, rappresentare un’esperienza dolorosa. Esso infatti può influenzare negativamente la percezione di sé, delle proprie abilità, può comportare un vissuto di ansia e paura in relazione alla prestazione. L’errore è ovviamente associato al fallimento della prestazione, quindi alla paura di commettere nuovamente quell’errore. Essendo un aspetto molto importante in un ambiente prestativo come quello sportivo, sarebbe utile imparare a gestire le emozioni che ne derivano.
Durante l’azione sportiva o il singolo gesto, si può commettere ad esempio un errore e per evitare che l’atleta rimanga “sequestrato” emotivamente, deve utilizzare delle strategie per poter spostare la sua attenzione sugli aspetti funzionali che ne derivano, come evitare di commetterlo nuovamente. Come si suol dire “sbagliando si impara” e se si resta focalizzati sull’errore, o ci si lascia “demolire” dal fallimento, è più probabile si possa sbagliare e fallire ancora.
Un aspetto utile potrebbe essere quello di valutare quali sono gli aspetti della situazione sportiva che sono sotto il controllo dell’atleta, quindi prepararsi nel poter gestire gli aspetti che possono essere controllati e lavorare invece, preparandosi sull’imprevedibilità del gioco stesso, in modo da non farsi prendere troppo dall’emozione che si vive in quel momento, ma anzi quell’emozione può essere un aspetto su cui lavorare successivamente per evitare di demoralizzarsi e perdere la motivazione.
Una possibile strategia per l’allenatore e, di conseguenza anche per l’atleta, potrebbe essere quella di stabilire degli obiettivi a breve termine, quindi dividere l’obiettivo stagionale, finale, in più parti in modo da renderlo raggiungibile e da evitare di creare situazioni che possano distorcere la percezione delle proprie abilità e demoralizzare l’atleta.

Dott.ssa Laura Camastra

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